martedì 8 settembre 2015

Cantina Valpolicella Negrar: il vino giusto per Pranzo Improvvisato


I pranzi futuristi erano spesso accompagnati dal buon vino, italianissimo, rosso, bianco, frizzante o fermo, mai in quantità esagerate, servito in coppe di ceramica, o in bicchieri di vetro. La sua degustazione e la sua presenza a tavola erano indispensabili.
Il legame tra il futurismo e le tante cantine e aziende produttrici di bevande alcoliche si manifesta da subito, e se chiedete a qualunque barman esperto potrete avere conferma dell’importanza degli esperimenti dell’avanguardia nel campo dei cocktail (ma i futuristi non avrebbero mai usato questa parola, e parlavano invece di polibibite), preparati anche con il vino. 


Ugo Pozzo, Manifesto per Vini italiani, slogan di F. T. Marinetti, 1930.



Se il vino è bevanda di antichissime tradizioni è tuttavia bevanda che si rinnova annualmente, si modernizza col progresso multiforme: è una bevanda dinamica, che contiene il carburante-uomo e il carburante-motore.
Alamanno Guercini, direttore del “Giornale Vinicolo Italiano”, 1932.

Il vino è italiano, è segno della ricchezza del nostro territorio, e ha una potenza artistica incontenibile.

Nel 1934, Fortunato Depero dedica proprio al “nettare degli dei” quattro componimenti nelle sue Liriche radiofoniche: quattro bocche, ognuna descrivendo un tipo diverso di vino, in una esplosione di sensazioni, sinestesie, immagini e profumi.

La prima bocca dice: io voglio del vino asciutto… rosso chiaro… con trasparenza di rubino. […] Nella gola deve scivolare come una cascatella cristallina di pace raccolta e di poesia silenziosa. Attraverso i suoi riflessi devo vedere la linea flessuosa del suo profilo sottile di vespa chiaro, sanguinello di fragola filtrata con vene azzurrine di aria purissima prealpina. […]

La seconda bocca dice: io desidero vino spesso, rotondo, carnoso, nutritivo e pieno. Un vino che mi dice tutto. […] Quando scrive nella tovaglia deve essere nero e fortemente affermativo. La sua macchia versata, ben contornata senza sbavature acquose, nella gola deve scendere come un cibo, come una fetta di carne liquida. […]

La terza bocca dice: io lo desidero colore dell’oro, pastoso al palato. Zuccherino alla gola. […] Il suo vero colore tra l’oro e il rame con liste d’ottone, con pupille d’oro vecchio e sguardi d’oro. […] Allo sguardo deve apparire come il sole in bottiglia, aroma di pesca matura, forza d’un liquore fluidità di una chioma tizianesca. […] Appena bevuto deve trasformare il sangue in oro solare, le vene irradiare luce fosforescente, dando un senso di beatitudine.

La quarta bocca dice: io ho tutt’altri gusti. Sono metropolitano e notturno. Desidero vino: nè solido, nè scuro, nè leggero, nè dorato; nè dolce, nè passito; nè tizianesco, nè rubino. […] Superbo come il fischio di una vaporiera, con in testa un alto ciuffo di schiuma da parata. Un vino corazziere. Un vino che appena giunge in bocca ricorda i cedri, i limoni, gli aranci e le schiume marine, frammisti a bei denti bianchi e a spumeggianti risate di gioia notturna. Trasparenze di scollatura, riflessi di alabastro, mani di cera inanellate; Parigi, Sanremo, Montecarlo, roulette, occhi di lampadine, dollari e girandole di fuochi d’artificio. […] Gioia sturata e fontana iridescente di felicità... Garçon, champagne!


Le bottiglie originali del 1939.


In questo contesto, nel 1933, un gruppo di sei volenterosi, ottimisti e agguerriti produttori di vino della Valpolicella decidono di investire energie, risorse e competenze per realizzare quello che nel 1936 diventerà l’Amarone. Così nasce la Cantina Valpolicella Negrar, una cooperativa ormai divenuta storica e tuttora attiva, vincitrice di riconoscimenti a livello internazionale per l’alta qualità della sua produzione. I suoi vini sono prodotti dalle uve di 600 ettari di terreno. 
Se i futuristi amavano le macchine e la tecnologia, è pur vero che il loro attaccamento al territorio, alle sue ricchezze, ai suoi sapori e complesse variazioni era per loro indispensabile per raggiungere la vera polisensorialità anche in cucina.

L’Amarone nasce ufficialmente nel 1936, e la cantina si fa subito portatrice di questo spirito: con una gestione territoriale basata su forze locali; lavorando su uve pure italiane (mentre molte cantine della zona, con i macchinari industriali, avevano invece optato per uve importate); contando sulla conoscenza diretta e trasmessa di mano in mano di una terra ricca, che in quegli anni aveva però non pochi problemi di produttività (dovuta principalmente alla fillossera, che attaccava i vigneti e aveva costretto molti ad abbandonarne la cura per piantare cereali). Una realtà che è nata in un contesto in cui l’equilibrio tra innovazione, qualità e territorio era ancora tutto da inventare.


Fortunato Depero, Riti e splendori d'osteria, 1944.


C’è, nella storia dell’Amarone, una piccola componente di improvvisazione, di caso, che non si può tralasciare. La nascita di questo noto vino è avvenuta, secondo la “leggenda”, per una dimenticanza: il vino lasciato a fermentare nelle botti più del dovuto, che si è poi rivelato in tutta la sua forza. E non è sempre stato perfetto: perché a questa novità inaspettata sono seguiti anni di studio e di perfezionamento, di innovazione ma senza dimenticare la terra, i luoghi, le origini negli anni '30.


La bottaia della cantina oggi.


Pranzo Improvvisato conterà dunque anche sulla partecipazione e il sostegno di Cantina Valpolicella Negrar, che ha creduto nel progetto della mostra e accompagnerà questo momento con i suoi vini. Cincìn!




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