venerdì 19 giugno 2015

Marinetti non amava gli spaghetti


Questi pranzi improvvisati sono consigliabili allo scopo di raggiungere un massimo di originalità, varietà, sorpresa, imprevisto ed allegria.
Ad ogni cuoco si richiede la formazione di una mentalità che:

- deve comprendere come la forma e il colore siano altrettanto importanti del sapore.
- deve arrivare a concepire per ogni vivanda un'architettura originale, possibilmente diversa per ogni individuo in modo cioè che TUTTE LE PERSONE ABBIANO LA SENSAZIONE DI MANGIARE, oltre che dei buoni cibi, ANCHE DELLE OPERE D'ARTE.
- deve, prima di preparare il pranzo, studiare il carattere e la sensibilità di ognuno, tenendo poi conto, nella distribuzione dei cibi, dell'età, del sesso, della conformazione fisica e dei fattori psicologici.
- deve possibilmente arrivare ai pranzi in movimento, per mezzo di tappeti-mobili che scorrono davanti alle persone, portando ogni genere di vivande: si semplificherà così la preparazione individuale perché ognuno sarà portato a conquistarsi la vivanda preferita. E la scelta sarà doppiamente gradita perché svilupperà, in un certo senso, lo spirito umano dell'avventura e dell'eroismo.
Per i pranzi improvvisati si può naturalmente discutere tra cuochi, camerieri e Direttori sulla attribuzione delle differenti vivande, ma mai si deve tener conto del gusto personale dei commensali.

(Pranzo improvvisato)




Un pranzo per ogni stagione, un pranzo improvvisato, un pranzo sacro, un pranzo simultaneo e quello dedicato agli innamorati in procinto di dichiararsi, un pranzo astronomico.
Tra i diversi pranzi proposti dai futuristi, il Pranzo Improvvisato è quello che più di tutti incarna la connessione tra cibo e illustrazione. Diciamo illustrazione nel senso quasi letterale del termine: un dare luce a una immagine descritta a parole, un immaginare, interpretare, codificare. Proprio come farebbe un cuoco, i 22 illustratori di Pranzo improvvisato hanno cercato di cucinare con colori e forme le 22 ricette.



La Taverna Futurista Santopalato proponeva solamente ricette futuriste. 


Si mangia con gli occhi, con la bocca, con il naso, e persino lo sfrigolio di un soffritto e la rugosità della crosta di un buon pane nutrono le nostre menti ancor prima del nostro stomaco.




Questo i futuristi lo avevano capito molto bene. Uno dei quattro punti del loro Manifesto della cucina futurista, pubblicato su La gazzetta del popolo nel 1930, riguardava proprio la ricerca di una cucina in cui anche i colori hanno un ruolo fondamentale nell’armonia e nell’equilibrio dei piatti.
Il cibo insomma deve attirarci, conquistarci, deve essere anche bello. Il cibo è anche creatività, sperimentazione, stile.

Cibo e illustrazione hanno in comune più di quanto non appaia ad un primo sguardo (o boccone che di si voglia).

La mostra è prima di tutto un gioco, un esperimento, un misurarsi con il lato più fantasioso e astruso delle pazzesche ricette proposte dai futuristi. Un esercizio di stile e un dialogo tra voci lontane, geograficamente e cronologicamente, un misurarsi con un mondo culinario anche immaginario, con ossimori di sapori e contrapposizioni di colori. Quarantaquattro mani che hanno cucinato piatti a volte impossibili, vagamente rivoltanti, alcuni molto interessanti e altri che forse è meglio dimenticare.



Nessun commento:

Posta un commento